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La riforma geo-istituzionale – Intervento N. 4

di Valentino Rocchigiani – Sindaco di Allerona

La Riforma del sistema regionale e la Democrazia – La situazione nazionale, la crisi che morde e non accenna a scemare, la manovra finanziaria di luglio e quella di agosto, il peso insopportabile della manovra sulle amministrazioni locali, il peso di tutto questo sui cittadini, ha accelerato i percorsi di approvazione delle riforme del sistema istituzionale regionale.

Un rischio concreto che si corre, per l’urgenza delle riforme stesse, è quello di “strozzare” la discussione e la partecipazione partorendo decisioni non attentamente studiate e verificate ripercorrendo i medesimi errori che furono compiuti nella riforma del 2007.

Una riforma seria deve essere soprattutto incentrata sulla semplificazione e la sburocratizzazione del sistema istituzionale che favorisca le risposte ai cittadini e alle imprese e liberi risorse da destinare allo sviluppo ed al miglioramento delle condizioni di vita soprattutto delle classi più deboli.

Alcune premesse di carattere generale sono d’obbligo :

Innanzitutto, occorre pronunciarsi sul regionalismo un’esperienza quasi cinquantennale che, tra luci e ombre, ha contribuito a definire i caratteri dell’Umbria contemporanea ed a dare peso agli umbri nella vita del Paese. Da questa esperienza (l’esistenza dell’Umbria come regione dell’Italia e dell’Europa) non si deve recedere, ma  anzi va rilanciata la prospettiva di una nuova stagione del regionalismo, capace di accompagnare l’Umbria nelle tempeste dell’economia globale, respingendo il disegno – che riaffiora da più parti- volto a ridisegnarne i territori  all’interno di costituende macro-regioni.

In quest’ottica e per un garanzia di democrazia e salvaguardia della rappresentanza,  va respinta la riduzione a 20 del numero dei consiglieri regionali operata dal Decreto Legge 138/2001, piuttosto si raggiunga lo stesso risultato di risparmio mediante riduzione delle indennità e l’abolizione dei vitalizi.

In generale la democrazia rappresentativa deve essere garantita e tutti devono  essere messi in condizione di poter fare politica non limitando la rappresentanza a chi possiede mezzi economici elevati. ….Continua »

La crisi economica: alcune considerazioni non scontate

di Giorgio Albani

La crisi economica attuale nasce da una serie di complessi fattori. Si tratta, in primo luogo ( e va detto) di una crisi dei paesi occidentali e dei loro sistemi. Cerchiamo di non cadere nella trappola di crederla planetaria. Esistono società che non appartengono al villaggio globale. In esse le nostre leggi dell’economia si sentono poco. Ma anche nel villaggio globale è piuttosto difficile che tutte le comunità che lo popolano  si trovino in crisi. Di solito le leggi del mercato funzionano in modo tale che quando qualcuno è a disagio altri ne traggono vantaggio.
La crisi occidentale è dovuta, in buona parte, allo sviluppo rapidissimo di quelli che anni fa erano definiti “paesi emergenti”: principalmente Cina, Corea , Tailandia, India. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza visto che le fonti d’informazione non ci aiutano molto. In passato i prodotti da destinare ai mercati erano ideati, progettati e realizzati interamente nei paesi occidentali (nel concetto di occidente economicamente inteso dagli anni ’50 dobbiamo includere anche il Giappone).
Poi si è pensato che la produzione di queste merci potesse divenire più competitiva con l’arruolamento di una manovalanza povera extra occidentale. Ciò ha amplificato enormemente i flussi migratori e alimentato i ben noti fenomeni di disagio sociale ad essi associati.  Il terzo passaggio è avvenuto quando gli imprenditori occidentali si sono accorti che il costo delle merci prodotte nei paesi industrializzati non poteva scendere oltre una certa misura, limitante la competitività, a causa del costo del lavoro. Per costo del lavoro si deve intendere quello legato al mantenimento di una serie di diritti essenziali riconosciuti ai lavoratori dei paesi socialmente evoluti. Pertanto è stato facile pensare ad una soluzione scappatoia: trasferire le catene di produzione delle merci in quelle nazioni (in buona parte extra-occidentali) ove lo scarso o assente riconoscimento dei diritti del lavoratore e della persona e frequentemente una politica compiacente, rendevano il costo del lavoro non più un problema. Tutto ciò continuando, tuttavia, a mantenere in occidente l’ideazione e la progettazione di ogni prodotto. L’attuazione di questo cambiamento ha determinato la perdita di molti posti di lavoro in tutto l’occidente. Impiegati ed operai si sono visti smontare letteralmente intere catene di produzione sotto gli occhi per essere destinate all’estero insieme ai loro posti di lavoro ….Continua »

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