Archivi per la categoria ‘glocal’

La riforma geo-istituzionale – Intervento N. 3

di Franco Barbabella

La discussione che si sta svolgendo da qualche settimana su Heimat a proposito di riforme geo-istituzionali è senz’altro interessante. Ad essa vorrei partecipare anch’io proponendo all’attenzione degli amici e dei lettori la parte iniziale di un documento che, con il contributo dell’amico Giovanni Codovini, ho presentato recentemente nel quadro della discussione sulle riforme da praticare in Umbria.

 

Umbria aperta nell’Italia di Mezzo

Dorsali, corridoi, distretti, cluster, pipeline, macroregioni, reti territoriali, frontiere mobili, nuove aree locali, marche di confine, board finanziari, hanno letteralmente frantumato quello slogan efficace, “Bevagna non va alla guerra” – coniato da Giuseppe De Rita nel Rapporto Censis di dieci anni fa -, e parallelamente il paradigma di Stato come lo abbiamo conosciuto.

L’appetibilità di quella definizione alludeva, durante l’infuriare della guerra seguente la distruzione delle Torri Gemelle, al fatto che i piccoli borghi come Bevagna e Montefalco, là dove l’Italia è più Italia, si disinteressavano dei grandi temi globali. Tutti presi dal loro “particolare” a tessere reti locali di qualità del vivere con radici profonde in quell’Italia che era l’Italia dei “cantoni”. L’Italia borghigiana, poco globale e molto territoriale. L’Italia della “società larga”, come scriveva Leopardi nel suo Discorso sui costumi degli italiani, lamentando l’assenza di un’Italia della “società stretta”, compatta, dotata di un’identità condivisa.

Oggi non è più così. Per una paradossale ‘nemesi geopolitica’, quei territori larghi – in Europa come in Italia – si sono trasformati negli attori principali delle connessioni internazionali: sono le comunità locali a decidere i flussi globali (es: “no Tav”, metanodotto Brindisi/Minerbio, E78, ecc.). La stessa competizione economica è geo-territoriale, tanto che gli insediamenti produttivi si caratterizzano per la loro dimensione e collocazione territoriale (distretti, cluster, zone franche, ecc.). Il “territorio” si è vendicato della sua stessa natura, che lo escludeva dal Gran Gioco. Ora sta in mezzo.

Per questo l’Italia sarà quello che i territori saranno, per parafrasare Mazzini. E questo vale di più per l’Umbria, insieme geopolitico che oggi, per un processo politico-istituzionale nazionale e per le riforme endoregionali in atto, in verità è tutto da decostruire e ricostruire. In questo senso, la politica regionale deve necessariamente confrontarsi su tale nuova dimensione geopolitica e geoeconomica, senza pregiudizi e ideologismi, ma con la razionalità che guida il futuro.

C’è bisogno di una diffusa intelligenza riformista e chi si dichiara riformista – per la cultura del cambiamento e dell’innovazione che lo caratterizza – non può non promuovere un confronto sui nodi geopolitici sopra richiamati, soprattutto ora che il nascente/neonato (a fatica) federalismo, le riforme endoregionali in atto e il destino incerto delle Province – in ogni caso da riconfigurare – pongono nuovi e pesanti interrogativi. Né si potrà prescindere dalla piega che può prendere la crisi gravissima che stiamo vivendo come Paese e come Europa.

In questo orizzonte e nel merito, un dato regionale appare certo: è venuto meno il tempo del “policentrismo centralistico” che ha di fatto dato luogo ad una sorta di “cantonismo”. Da qui i limiti e le disfunzioni del particolarismo territoriale umbro.

Il passaggio necessario da realizzare riguarda perciò la costruzione di un territorialismo funzionale all’interno dell’idea nascente dell’ “Italia di mezzo”, da promuovere come paradigma interpretativo del federalismo e come possibile riferimento di un nuovo soggetto macro-regionale. Le riforme istituzionali che servono non sono quelle che applicano alla realtà astratti modelli ingegneristici, ma quelle appunto funzionali ad un mondo cambiato che attende di essere governato per assicurare alle persone in carne ed ossa un futuro, se possibile migliore di quello che è sperabile nelle condizioni di oggi.

L’Umbria si definisce così, in questo scenario, come una costellazione di territori uniti da una politica regionale capace di valorizzare le risorse specifiche, conferendo ad esse una valenza generale. Insomma, la risposta alla crisi non può essere né un’astratta e confusa fuga in avanti, né una difesa dell’esistente ottenuta magari con un neocentralismo mascherato da efficientismo tecnocratico.

Scatta inevitabilmente la reciprocità funzionale tra le politiche territoriali specifiche di area vasta e le politiche generali di livello regionale. In questo senso interesse locale e interesse generale regionale coincidono.

Conseguentemente deve essere valorizzato il ruolo dinamico delle aree-cerniera, le quali sono, allo stesso tempo, il legame regionale e il ponte per aggregare e competere con gli altri insiemi territoriali contigui. E’ certo il caso del territorio orvietano e degli altri che in Umbria hanno caratteristiche consimili.

La rottura culturale e geopolitica dei confini amministrativi tradizionali, storicamente consolidati, deve essere assunta come un imperativo delle culture riformiste contemporanee in quanto elemento fondante l’ “Italia di mezzo”, idea guida di un progetto politico da realizzare anche a Regioni invariate.

Il Convegno di Todi: “Il partito dei Cattolici resta un mito”

Intervista di Carlo Candiani al Prof. Luca Diotallevi,  www.tempi.it del 17/10/2011

“La buona politica per il bene comune” è il titolo del convegno che si è svolto a Todi e che ha coinvolto associazioni e movimenti del mondo cattolico, operanti nel sociale. L’appuntamento è stato anticipato da diverse dichiarazioni dei responsabili delle varie esperienze che parteciperanno e da inviti più o meno interessati degli osservatori esterni: dalla richiesta a pronunciarsi su una discontinuità governativa, alla curiosità per la nascita di un improbabile partito dei cattolici italiani. «Contrariamente a tutte queste richieste inopportune, il convegno è stato un vero scambio di opinioni ed esperienze. Si sono affrontati i temi dell’emergenza economica, sociale e culturale, che non quelli delle strategie politiche. Pacate riflessioni e non ansiose analisi organizzative».

Così risponde a Radio Tempi, il prof. Luca Diotallevi, associato di Sociologia all’Università di Roma Tre, tra i responsabili delle Settimane Sociali, indette dalla Cei.

 

Lei ha ben presente la situazione del mondo cattolico che opera nel sociale, che è molto eterogeneo: su quali basi comuni può svilupparsi una proficua collaborazione?

A questa domanda rispondo con due citazioni: Don Sturzo parlava di «accettare la confessionalità», cioè il rischio di giocare la propria fede con una mediazione che è sempre particolare e discutibile, ma senza la quale la fede non prende corpo. Cito anche Benedetto XVI, che nel suo recente discorso al Bundestag dice che «neppure la legislazione positiva si deduce dalla Rivelazione». I cattolici ricominciano a far politica quando si assumono l’onere e il rischio di questo salto, in un territorio in cui non possono essere protetti dalla gerarchia. ….Continua »

i più letti
  • Non ci sono articoli
Follow alleronaheimat on Twitter

arsi

villalba

____________________________________
aprile 2024
lun mar mer gio ven sab dom
1234567
891011121314
15161718192021
22232425262728
2930EC
AlleronaHeimatWebRadio


Pagina 4 di 31« Prima...23456...Ultima »