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Il remoto è negli occhi e nel battito d’ali d’un uccello infreddolito, che pigola sul bordo d’un muro. Sopra il cristallo di nebbia gelata si ritaglia un nido di pagliuzze fruscianti, una fitta rete sagomata come il palmo d’una mano. Lo seguo con lo sguardo fin dove l’asprezza dell’aria me lo consente e poi…ormai stanca, mi volto all’improvviso in un altrove diffuso.
Un mondo perduto nelle tracce suggestive di forme aggrappate ai confini della realtà, come ristampe di incantevoli soggetti, sfumati lungo il bordo di una pregiata cornice. Il perimetro dell’attimo si fissa studiatamente nel percorso di un’ora. E si riavvia la cerimonia dell’intimità strutturale del paesaggio tenuemente illuminato.