Archivi per la categoria ‘heimat 2000/1’

Le ragioni dell’editore Il germe di un’idea

di Luca Tomassini

Che cos’è il germe di un’idea? Probabilmente qualsiasi cosa, per ogni scrittore: un bambino che cadendo sul marciapiede rovescia un cono gelato; un signore dall’aria per bene che dal fruttivendolo, in modo furtivo ma apparentemente irrazionale, si fa scivolare in tasca una pera matura senza pagarla. Oppure, può essere una breve scena d’azione, che ti salta in testa dal niente, da niente di ciò che è visto o sentito. La maggior parte delle mie idee embrionali sono di quest’ultimo tipo. Per esempio, i germi dei miei libri sono “diffondere la conoscenza dell’era digitale”, del mondo della comunicazione elettronica.
L’idea embrionale di una associazione che avesse come obiettivo principale la valorizzazione del nostro patrimonio storico, ambientale e culturale, utilizzando mezzi di comunicazione come la stampa, è stata da me accettata come “il germe” di una rinascita. Una rinascita di valori culturali, sociali, ambientali e tradizionali.
E allora ben venga uno strumento per comunicare, un giornale. Heimat sarà un periodico aperto a tutte quelle persone che, improvvisamente, si sono trovate ridotte al silenzio. Senza far questioni sulle idee, purché ci si trovi d’accordo sul punto essenziale della libertà. Qui perciò, in assoluta indipendenza, troveranno ospitalità quelle persone che vogliono esprimere liberamente le loro idee e tutti coloro che per motivi politici, sociali o economici, si sono visti togliere il diritto di diffondere ciò che pensano. E’ il solo vero “lusso” che ci concediamo; ed è anche l’unico al quale non intendiamo rinunciare.

Dentro l’obiettivo

di Giorgio Albani

La fotografia è arte che abitua all’osservazione e alla riflessione. Chi ‘traguarda’ il mondo attraverso il mirino di un apparecchio fotografico acquisisce una sensibilità, una capacità di discriminazione e di analisi, che in genere non appartengono all’occhio comune. Impara, inoltre, a valutare il quadro generale e il grado di armonia con cui sono amalgamati i singoli elementi per poi scendere ad una analisi dettagliata del particolare, conferendo ad ognuno di essi un impatto emozionale diverso. Chiunque si dedichi a questa arte, in modo più o meno serio, non può non percepire un’istanza interiore che fa capo al gusto del bello e all’amore per la composizione, cose queste che solo chi condivide questa esperienza può ben capire fino in fondo.
Allerona, vista in questa luce, con
il suo borgo, i suoi scorci, le sue chiese, la sua campagna, appare in modo particolare come il Paese che poteva essere e che non è mai stato.
Appare come la miniera di minerali preziosi, mai scoperta, non capita o, peggio, dimenticata sotto la polvere della trascuratezza e dell’incapacità.
Appare, in fondo, come il luogo delle infinite possibilità costantemente frustrate dall’occhio miope di chi le ha malgestite senza mai capirle e perciò senza poterle mettere a frutto. In ogni processo di analisi mentale, prima di qualunque ‘atto di interventismo’ deve essere presente la comprensione. Lo studio attento delle possibilità che ogni sistema può offrire è atto preliminare e irrinunciabile per passare alla fase delle soluzioni.
Il meccanismo della comprensione resta oscuro, da sempre, a due categorie di persone:
• a chi, per motivi vari, compresi quelli fisiologici, non riesce a capire poiché possiede una visione del mondo ristretta, piccola, obbligata, anelastica a cui tutto debba comunque essere ricondotto e al di fuori del quale niente può esistere;
• a chi, per dolo o per scarsa volontà, pur avendone i mezzi, fa finta di non capire o comunque non è interessato a impegnarsi più di tanto.
Una volta si diceva “non si applica”.
Per un verso o nell’altro, gli uni e gli altri, specie quando occupano posti di comando e di gestione, possono divenire particolarmente pericolosi. Non possiamo nasconderci che entrambe queste ‘virtù’ sono state ampiamente rappresentate nella gestione delle ‘Cose Alleronesi’ e senza particolare distinzione di parte poiché l’intelligenza, come purtroppo anche il suo contrario, non hanno domicilio obbligato. Ogni lavoro, progetto o quant’altro, al di là dei facili entusiasmi che possano muoverlo alle origini, al di là delle belle presentazioni su carta patinata, si giudica per i suoi risultati e i risultati del “Progetto Allerona” sono, ad oggi, infinitamente fallimentari e non esistono prove oneste che possono smentire questa magra conclusione. Il “paese alto” si spopola con continuità. Lo spopolamento è la conseguenza, prima ancora che della mancanza di lavoro, dell’assenza di una “condizione ambientale psicologicamente favorevole e mentalmente positiva”.
Manca, in altri termini, il senso del futuro e del costruire qualcosa. Tutto ciò provoca inevitabilmente negli esseri umani quella sensazione di instabilità, di insicurezza, di ansia esistenziale che riduce le capacità progettuali che il singolo potrebbe esercitare a favore dell’intera comunità ed abbassa uno dei motivi cardine che stabiliscono la qualità della vita: la speranza positiva che l’ indomani di questo paese sia profondamente diverso e migliore dal presente e l’entusiasmo che valga la pena di battersi per questo scopo. Nessuno ad Allerona, specie in questi ultimi anni, ha saputo capire questi concetti o ha elaborato idee che valessero la pena di essere credute invertendo un patologico fattore di tendenza. Nessuno ha saputo creare quell’irrinunciabile atmosfera positiva che dà fiducia alla gente e la incanala verso scelte operose di miglioramento della propria condizione e del territorio dove vive. E’ innegabile che, in conseguenza di tutto ciò, l’intera comunità soffra di una sorta di collettiva sindrome depressiva in cui ogni evento, anche il più piccolo, viene interpretato in chiave negativa e aumenta il grado di derealizzazione.
E’ venuto meno, infine, anche il concetto di appartenenza a questa comunità, salvo il riscoprirlo quando, purtroppo, come di recente, avvengono eventi luttuosi gravissimi che fanno ripercepire il senso delle proprie radici e i legami veri tra le persone. Questi scossoni collettivi dopo una prima fase distruttiva sono seguiti da una reazione importante in cui ogni essere umano e la collettività intera ricercano le ragioni della propria esistenza e si impegnano ostinatamente nella fase di una ricostruzione che non può che essere basata su valori autentici e motivazioni forti. Stabilita l’essenza del male profondo che affligge il paese alto, diventa necessario cercare un antidoto opportuno.
Questo si può riassumere in due parole: carica motivazionale. Ogni persona deve essere ricondotta ad una carica interiore positiva che nasca da motivazioni profonde e da obiettivi chiari e nel contempo fornisca aspettative lecite e raggiungibili.
La carica motivazionale può essere indotta solo da alte, importanti direttive che attendono alla realizzazione di progetti credibili e, se possibile, coinvolgenti, convincenti, entusiasmanti. Tutto ciò deve provenire da idee e elaborati di alto valore per la comunità che non possono che essere disegnati da chi, (non dimentichiamolo) in piena libertà e senza costrizione alcuna, ritenendosi evidentemente all’altezza del compito, decide di assumere la responsabilità del ‘Governo della Comunità’.
Un progetto credibile, meglio se globale, può evocare interventi di capitali privati che instaurino un circuito di amplificazione dell’economia ma che necessitano di assolute garanzie e di quell’ambiente ‘psicologicamente favorevole e positivo’ di cui si è detto a lungo. Non dimentichiamoci che altrove, in condizioni ambientali analoghe alle nostre, c’è chi quelle forze le ha sapute evocare, determinando destini ben diversi delle comunità alle quali apparteneva. Non si abbia paura di concepire un destino migliore per questa comunità poiché essa, sino ad oggi, è stata destinata all’oblio, non per opera di una sorte avversa e inevitabile a cui piegare il collo con rassegnazione ma piuttosto per un eccesso di menti ristrette che ne hanno, nostro malgrado, deciso le sorti. Si parta dalla convinzione che essa, desiderandolo fino in fondo, non ha minori difficoltà di riscattare se stessa di quanto non lo hanno avuto altre piccole comunità che costellano l’Italia e, in fondo, l’Europa.
Da queste pagine, d’ora innanzi, si produrranno spinte emozionali opportune all’insegna di quel pensiero positivo di cui c’è necessità estrema e progettualità di idee concrete senza le quali quest’analisi, pur costituendo una necessaria e corretta presa di coscienza del problema, resterebbe una diagnosi priva di cura.

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