Archivi per la categoria ‘heimat 2001/2’

Na-po-li Na-po-li stu-pi-do stu-pi-do

di Armando Borghi

Na-po-li Na-po-li stu-pi-do stu-pi-do. Le terzine le ho imparate a dividere così, sentendo scandite le sillabe di queste due parole dal mio primo insegnante di Musica, mio zio Bruno Carletti. Correva l’anno 1970 ed era appena partito un altro Corso di Orientamento Musicale per la Banda. Bruno era arrivato una decina d’anni prima, sospinto ad Allerona dalle tempeste della vita. Infatti, una piorrea ne aveva stroncato la carriera di trombettista nei suoi quarantanni. Ritornava lui, padano di nascita e cultura, alla terra dei padri, tanto bella quanto musicalmente priva di possibilità.
Fortunatamente nei primi anni sessanta Allerona era ancora un posto popoloso e vitale. Esisteva già una tradizione musicale, con una Banda numerosa fondata ad inizio secolo. In questa situazione di riorganizzazione della vita la Banda poteva costituire una opportunità ed una risorsa. E così fu. La Banda, metafora della vita con le sue grandezze e miserie, godeva di un clima umano favorevole. l limiti caratteriali e relazionali dell’uomo furono mitigati dal tramite di alcuni indigeni (su tutti mio zio Eraldo e Monaldo). La decadenza (tutta) non era ancora cominciata. Ci fu un grosso salto di qualità. Chi conduceva era, finalmente, un musicista vero, con una professionalità verificata ad ottimi livelli. Mi ricordo molto bene l’orecchio e la verve ritmica. Come aneddoto rammento un suo commento alla fine di un concerto: “Mi avete fotto sudare sette camicie, vi ho dovuto spingere” Certo è che ai nostri livelli di scarsa lettura e tecnica dello strumento il suo movimento ampio e vigoroso era un bell’aiuto! Con degli strumenti molto datati se non proprio decrepiti, non mi ricordo di avere mai sentito una intonazione scandalosa. Era merito suo senza dubbio. Dopo gli anni sessanta Allerona subì, dopo lo spopolamento delle campagne, un ulteriore processo di decadenza. Esso trascinò tutto il resto. La scarsa popolazione significò anche meno allievi ed anche organici ridotti. Le uscite della Banda si ridussero alle feste paesane con i ranghi rinforzati da forestieri. Il clima era cambiato in peggio. Anche l’accesso ai finanziamenti per istituire i corsi era più problematico. Credo che quanto accadde poi sia imputabile alle comunque scarse motivazioni dell’uomo (da suonare sul serio a rischiare di diventare un analfabeta musicale di ritorno ce ne corre!) e al non semplice rappono instaurabile con una realtà piccola e chiusa come la nostra. Fatto è che la sua collaborazione cessò ed in maniera non incolpevole per la nostra comunità. La sua malattia fece il resto. Il mio commento è che questa persona ha comunque prodono un miglioramento della nostra cultura collettiva. In un posto marginale ed isolato ha contribuito ad elevare gli standard di una attività sociale utilissima: la diffusione della cultura musicale.
Esprimo un desiderio: nel decennale della morte spero che si onori degnamente la memoria di questo uomo, trattato con indegna grettezza anche durante la sua cerimonia funebre.

Al peggio non cè mai fine

di Fabiola Di Loreto

Il tema dei territori marginali, già ampiameme trartato in due precedenti articoli su questo giornale, non ha tuttavia definito in modo esaustivo quanto la marginalità sia un concetto diffuso e non esclusivamente riconducibile ad un mero e semplice fattore geografico. Accolgo l’invito che mi è stato rivolto dal Direttore di Heimat a proseguire un’analisi sul significato di marginalità e prendo volentieri a riferimento la mozione presentata nel Consiglio comunale di Orvieto dall’amico Franco Barbabella e dai consiglieri del Gruppo SDl, riguardante la “Riforma delle leggi elettorali e il nuovo Statuto della Regione dell’Umhria” per provare a sviluppare un ragionamento più ampio sul concetto di marginalità politica.La mozione parte dalla constatazione di alcuni aspetti legati al sistema elettorale maggioritario e alle conseguenze che esso comporta in termini di deficit di democrazia (un esempio lo abbiamo avuto anche nelle recenti elezioni politiche), passa poi all’esame dell’inadeguatezza democratica dell’ordinamento degli Enti Locali e finisce ponendo l’accento su alcuni elememi fondamentali per la democrazia in Umbria. La mozione evidenzia, tra le questioni fondamentali riguardami la nostra Regione, la necessità di definire una nuova identità dell’Umbria, che la renda capace di collocarsi adeguatamente sullo scenario segnato da un lato dai processi del federalismo e dall’ altro dall’unificazione europea. A tale proposito è importante ricordare che proprio Orvieto fu la città che nel maggio del 1997 ospitò il primo incontro tra le Regioni del Centro Italia, promosso dal CNEL, al quale incontro aderirono insieme ai rappresentati della cosiddetta società civile gli allora Presidenti delle cinque Regioni dell’Italia centrale: Umbria, Toscana, Marche, Lazio e Abruzzo. Allora, come oggi, l’esigenza che portò all’iniziativa si basava sulla necessità reale di individuare un’identità futura per queste Regioni che sono caratterizzate da fattori geografici, economici e sociali simili. Peraltro sono regioni assai diverse sia dal Nord più industrializzato, che risente comunque del forte processo di globalizzazione e di competizione in atto anche fuori dai confini comunitari, sia dal Sud più depresso ma ancora oggi rientrante tra gli obiettivi di intervento comunitari come area in ritardo di sviluppo e, quindi, più assistita di quanto non sia il Centro Italia. Allora, come oggi, il rischio che le Regioni dell’Italia centrale corrono è proprio quello di essere schiacciate nel mezzo di queste due parti predominanti del Paese, senz.a riuscire a trovare un’identità comune che le faccia uscire dal guscio in cui si trovano attualmente. Molte, infatti, sono ancora le potenzialità di crescita che le Regioni dell’Italia centrale hanno a loro favore, anche se hanno perso un elemento comune forte dal punto di vista politico che univa la capacità e la volontà di interagire e che era dato dall’avere tutte governi regionali di cemro sinistra, portatori, a mio parere, di una corretta visione federalista, di un’equilibrata politica di sviluppo e di una solidale concezione economica. Con il tempo però alcuni meccanismi, come quelli elettorali su cui la mozione Barbabella si sofferma, insieme con alcune miopi logiche di potere prevalse all’interno anche dei partiti di sinistra, hanno introdotto un pericoloso deficit di democrazia che ha poi portato, nelle recenti elezioni politiche, a non avere più né libertà di scelta né equilibrio di rappresentanz.a. All’inizio della campagna elettorale per le ultime elezioni politiche Heimat lanciò, attraverso il giornale on line Orvietonews, un appello che non fu affatto recepito, come del resto molte altre richieste che i partiti, soprattutto di sinistra, sembra abbiano difficoltà ad intercettare e che arrivano dalla ormai dimenticata “base”, o opinione pubblica, o se preferite, con una definizione più giuridica, dal corpo elettorale. L’appello diceva “metteteci nelle condizioni di andare a votare”. Ci si attendeva in verità una sensibilità maggiore da parte di chi avrebbe dovuto dedicare a questo tema forse qualche riflessione in più. Credo che rispetto al dirigismo aziendale di partiti come Forza Italia o rispetto alle scelte di unificazione fatte dalla Margherita nel temativo di tradurre un successo elettorale in un risultato politico ma senz.a coinvolgimemo degli iscritti, il partito dei Democratici di Sinistra sia uno dei pochi partiti che svolge un congresso e lo farà con un dibattito interno assolutamente democratico, che mi auguro non sia lacerante. La scelta delle candidature, però, alle ultime elezioni politiche ha di fatto sacrificato il rispetto degli iscritti, degli elettori e del territorio, con una logica conseguente contraddizione che vede oggi, ad esempio, l’area diessina dell’orvietano schierata prevalentemente con la mozione Berlinguer ma contestualmeme è il territorio che ha votato al Senato Gavino Angius, oggi tra i principali esponemi della mozione Fassino. Ciò non significa che la scelta fosse dettata già allora da uno schieramento di mozioni contrapposte ma è certo che Gavino Angius, come Katia Bellillo, furono candidature che seguirono logiche imposte dalla necessità di collocare i massimi esponenti dei partiti in collegi sicuri, dimostrando però, anche nel breve periodo, che tali candidature risultano corpi estranei rispetto al territorio. Provo a tirare le somme di questa mia riflessione sul concetto di marginalità in senso esteso ponendo tre questioni che propongo all’attenzione dei lettori:la prima questione riguarda la necessità di individuare un’identità forte che caratterizzi le Regioni del Centro Italia e l’Umbria in particolare, prima che queste subiscano una pressione tale da dover vivere una situazione di marginalità, determinata dalle due realtà Nord e Sud che sono predominanti. Gli aspetti su cui sviluppare una politica di interessi comuni a favore dei territori e delle popolazioni dell’Italia centrale credo che siano molti e vadano da elementi ambientali a caratteristiche artistico, culturali ed economiche e l’Umbria avrebbe turte le possibilità di candidarsi a ruolo guida per promuovere in futuro una ripresa del coordinamento di queste regioni, che peraltro hanno aperto insieme un ufficio di rappresentanza a Bruxelles. Occorre però un progetto chiaro ed ambizioso e una classe dirigente capace di farsene carico, partendo anche dal rinnovato ruolo che viene assegnato alle regioni con l’esito del referendum sul federalismo.
La seconda questione riguarda l’elettorato di sinistra: dal mio punto di vista si tratta di un popolo assai variegato che sente la necessità forte di non subire un’ulteriore marginalizzazione nella politica. Il desiderio è di tornare a votare alle prossime elezioni con la possibilità di farlo ancora per partiti e coalizione di centro sinistra che siano portatori di valori sani ed equilibrati su cui costruire il nostro futuro e la nostra identità politica. Occorrerà però la coerenza delle scelte e il coraggio di ascoltare ciò che si muove fuori dai partiti: è la società civile, la cui più bella espressione si vede spesso comparire in contesti come quello della marcia per la pace Perugia – Assisi. Il mondo politico non può non tenere conto di ciò. La terza questione riguarda una richiesta latente di maggiore consapevolezza che dovrebbe portare la nostra classe dirigente a non dare nulla per scontato e per acquisito in eterno. L’attenzione alle necessità del territorio e alle richieste degli elettori sono la prima umile regola di chi, come si diceva una volta, si mette al servizio dei cittadini. La regola fondamentale resta sempre la stessa: l’elettore vuole sapere cosa fa il proprio candidato eletto perché con il suo voto sente di avergli consegnato un mandato che non è illimitato. Occorre un po di volontà in più, meno distanza dai cittadini e l’umiltà di saper ascoltare, se si vuole continuare a governare non solo lo Stato o gli Enti Locali ma anche i processi di cambiamento, altrimenti un giorno ci si accorgerà che è troppo tardi e la rassegnazione avrà prevalso sulla ragione, dando spazio forse a quel peggio (a me i primi 100 giorni dell’attuale Governo sono già sufficienti) a cui non c’è mai fine e di cui ne abbiamo frequenti esempi.

i più letti
  • Non ci sono articoli
Follow alleronaheimat on Twitter

arsi

villalba

____________________________________
aprile 2024
lun mar mer gio ven sab dom
1234567
891011121314
15161718192021
22232425262728
2930EC
AlleronaHeimatWebRadio


Pagina 3 di 512345