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Qui ed Ora

Il tempo è scaduto. “Lontano dai fossili che abbiamo ereditato dal passato” dobbiamo rifondare il nostro presente. Liberi tutti. E’ il tempo post-tradizionale, in cui le tradizioni cambiano di status: devono spiegarsi, aprirsi all’interrogazione. E’ un nuovo ordine che permette alle persone di farsi attive e riflessive. Quando il passato perde la sua presa e si tramuta in una ragione tra le altre, il futuro, che configura una varietà di scenari, suscita il più grande interesse. La difesa della tradizione in modo tradizionale si trasforma in fondamentalismo: è ciò che oggi caratterizza principalmente il nostro territorio. Il rifiuto del dialogo, qui da noi, diventa crimine pericoloso. Oggi celebriamo il fallimento di una politica territoriale che fu, forse, “generativa”, e che dobbiamo ricostruire. Una politica che dovrebbe mettere gli individui e i gruppi nella condizione di, anziché subire le cose, farle succedere. Che fare? Rimettere al centro la questione dell’azione: qui ed ora. “Azione è uscire dalla solitudine”, ce lo ricorda Luigi Pintor nel suo ultimo libro: Il Nespolo. Per agire, per nostra fortuna, non abbiamo alcun problema circa i principi regolatori. I valori collettivi condivisi sono perfettamente adatti ai nostri scopi. Serve capacità di azione ed etica della responsabilità individuale e collettiva. La responsabilità è la chiave dell’azione. Bisogna promuovere le condizioni che consentono di raggiungere i risultati desiderati; evitando che sia il “vertice” a determinare quei desideri o a cercare da solo di produrre i risultati. Bisogna creare le condizioni perché si possa costruire una fiducia attiva nelle istituzioni locali. Bisogna accordare autonomia a chi è coinvolto in particolari programmi, senza essere tentati di mettergli il basto come si usa dire e fare qui. Anche nel nostro ambiente vale la regola per cui la maggioranza degli individui possiede più informazione di quella di cui dispone l’istituzione locale. Perché non utilizzarla. “Capiscioni” dei miei stivali! Come diceva la mia prozia. Dobbiamo porre fine alle mezze stagioni, durante le quali nulla succede, in cui non fa nè caldo nè freddo: tutto è come tutti i giorni. La coscienza agonizza deliziosamente nel torpore dei calmi pomeriggi e muore poco a poco della sua buona morte. Sprofondare è diverso che approfondire. E’ il regno di Oblomov dal quale dobbiamo liberarci, come ricorda Di Loreto. Serve uno scatto. Dobbiamo rinunciare a questa eutanasia domenicale, alla morbidezza delle sue dolci reminiscenze, alla sua cara e inconfessabile nevrastenia: carissima Orvieto. Passiamo dalla noia all’avventura – senza adorare ciò che fa orrore – qui ed ora. La mancanza di azione non è solo paura di agire, ma anche incapacità ad agire. Impossibilità ad avere una visione e incapacità di realizzazione. Qui da noi sono ormai almeno quindici anni che non c’e progetto degno di questo nome e che abbia una temporalità umanamente accettabile; vedi il progetto su Villa Cahen. Bisogna smetterla di rivolgere l’attenzione al niente del nostro destino. Bisogna smetterla di “ammazzare” il tempo, di “ingannarlo”, invece bisognerebbe “passarlo” agendo insieme per trasformare in meglio ciò che abbiamo ereditato. Ma qui ed ora; perché si può fare.

Che cosa fa Oblomov

di Daniele Di Loreto

Nulla, Oblomov non fa nulla. E’ un nobile della Russia zarista della metà del secolo scorso, poco più che trentenne, che vive a Pietroburgo con i proventi della sua tenuta. Da anni rimurgina il proposito di approntare un piano di ammodernamento dei suoi possedimenti che, nell’attesa, vanno a rotoli. E’ del tutto incapace a gestire gli avvenimenti della sua vita ed è prigioniero di un fatalismo così sterile ed antieroico che il mero rimandare, anche di qualche giorno, il confronto con un problema gli appare infallibilmente un’eccellente soluzione, come un irresistibile viatico all’immobilità. Oblomov è il protagonista del romanzo omonimo di Ivan Goncarov, pubblicato nel 1855, ed è stato scelto da Eurispes (Istituto di Studi Politici Economici e Sociali) come metafora dell’odierna situazione del Paese nel “Rapporto Italia 2001″, che è uno studio attento dei mali e dei vizi del nostro Paese, presentato all’Università di Roma “La Sapienza” il 26 gennaio scorso. Oblomov sogna, fantastica sul futuro, ha mille propositi ma muore senza averne attuato neanche uno. Non ha mai intrapreso niente di tutto quello che, in buona fede, andava promettendo a sé e agli altri. Oblomov è pigro, ingenuo, indolente, smidollato, ma è anche onesto. Vive accanto ad una donna dalla quale non riceve alcuno stimolo, se non quello a perseverare nella sua vita vegetativa. E alla fine muore, senza dolore, senza sofferenze, come si ferma un orologio che ci si è dimenticati di caricare. ….Continua »

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