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Dopo l’11 Settembre

di Franco Raimondo Barbabella

La situazione che stiamo vivendo comporta rabbia o rassegnazione? Questa domanda mi è stata posta qualche mese fa con riferimento alla staticità, vera o presunta, della realtà orvietana. Non aver risposto allora mi ha creato forse qualche responsabilità rispetto agli amici di Heimat, ma mi ha dato il vantaggio di collocare ora la risposta nel comesto del presente momento storico, imernazionale e locale, anche se si tratta pur sempre di vantaggio relativo giacché ciò che affermi al momento in cui scrivi può risultare inattuale al momento della pubblicazione, dopo solo poche settimane. Tuttavia, oggi mi sento di rispondere con più convinzione: né rabbia né rassegnazione. Gli avvenimenti dell’ 11 settembre hanno dato alla storia del nostro tempo un’improvvisa e imprevista accelerazione. Si è detto, ed io lo ritengo vero, che nulla sarà più come prima, non solo per gli americani ma per tutti noi. Non mi dilungo su questo, le ragioni sono intuitive. Molti se ne sono accorti, altri no. Peggio per loro. Naturalmente peggio anche per noi, se chi non se n’è accorto ha qualche responsabilità di direzione, ma, in questo caso, sta a noi lavorare perché si cambi piuttosto che perché essi cambino, smettendola cioè di pretendere che chi non vuoi cambiare cambi per forza. Con i giovani abbiamo il dovere di educare, non solo di istruire. Con gli adulti, no. Ognuno ha il diritto di comportarsi come meglio crede. Si vuoi far finta che non è successo niente? Ci si accomodi, sarà la forza della realtà a fare giustizia di illusioni e ipocrisie. L’ideologia non è più, per fortuna, un collante né di conservazione né di cambiamento: ci vogliono idee, coraggio, scelte convincenti, capacità di raccordo con i semimemi e i bisogni reali. Vincerà chi sarà capace di stare all’altezza delle sfide di oggi. Abbiamo bisogno di profonde riconversioni culturali, di uscire dai gusci falsamente protettivi. Abbiamo bisogno di cambiamento. Ho visto in queste settimane all’angolo tutti coloro che sono solo capaci di ripetere stancameme gli slogan che hanno imparato. Ho visto il disperante tentativo di impartire lezioni alla storia. Ho visto alcuni giovani, più vecchi dei vecchi, rifugiarsi nel loro nulla culturale, irresponsabile e irriflessivo. Però ho visto anche molti altri prendere in mano libri e giornali, consultare siti, chiedere e organizzare spazi di discussione. Mi imeressano questi, non gli altri. In questi ripongo le mie speranze, anche dalle nostre parti. Ma c’è da lavorare, molto e sodo. Perché la battaglia del cambiamento è innanzi tutto culturale, di direzione culturale. Perché di cambiamemo è facile parlare, ma è molto difficile agire per attuarlo. E’ molto facile proclamarne la necessità, ma è molto arduo progettarlo, organizzarlo, comrollarne gli esiti. Il cambiamento, in realtà, è il processo più difficile, naturalmente se si deve trattare, come ho scritto altre volte, di un cambiamento voluto, dunque di un cambiamento secondo una direzione. Anche perché qui siamo di fronte alla necessità di cambiare le classi dirigenti. In quale condizione stiamo tutti in questo momento? Stiamo nella condizione determinata da un mondo fragile e contraddittorio, in cui può crescere un’organizzazione terroristica che mette in scacco non solo gli USA ma l’intiero ordine mondiale. Si dirà che si tratta di un ordine ingiusto, e certo per molti aspetti lo è. Ma si può cambiare quest’ordine accettando l’idea che lo strumento del cambiamemo sia il terrorismo? O non è piuttosto vero che qualsiasi progetto di cambiamento verso una maggiore giustizia ed una maggiore equità ha come presupposto proprio la sconfitta di quell’idea, di chi la propugna, la attua o la copre? Si assiste a spaventosi contorcimenti intellettuali. Non è strano, perché in realtà siamo all’inizio di un enorme rimescolamento delle carte che fa saltare gli schemi e le abitudini consolidate. Si affacciano problemi colossali. E’ aperta la questione di un nuovo ordine mondiale, di una nuova direzione, di una leadership che sappia far percepire il mondo sviluppato non come nemico ma come risorsa per tutta l’umanità. E’ aperta in tutti i Paesi avanzati, l’Europa in testa, la questione di chi dirigerà questo processo. L’ho già detto, c’è chi l’ha capito e chi no. Da noi, in Italia, ci sono i soliti indecorosi balletti, ma ci sono molti che l’hanno capito, anche a sinistra, che normalmente ormai è la più tarda a sintonizzarsi con le pulsioni del mondo. Da noi, dalle nostre parti, il ritardo è più drammatico. Eppur si muove! Si, si muove. Si pensi solo a ciò che oggettivamente inducono anche nelle realtà più periferiche i processi di globalizzazione e a ciò che possono produrre gli scossoni post-ll settembre in diversi settori vitali della nostra economia. Si pensi poi a ciò che può significare il federalismo e la competizione interna all’Europa in una regione come l’Umbria in cui il benessere poggia in gran parte su politiche di sviluppo protetto, con scarsa capacità di autori produzione delle risorse. Si pensi ai ritardi nel campo dell’uso delle nuove tecnologie ed in generale nei processi di innovazione. Si pensi alla fatica della pubblica amministrazione a dare risposte anche a problemi semplici. Si pensi che turto questo dovrà essere affrontato in tempi brevi ed in presenza di una drammatica scarsità di risorse. E il nostro territorio è il classico vaso di coccio. Ce la farà l’attuale classe dirigente? Ne dubito. Ce n’è una nuova pronta al ricambio? Ne dubito di più. E Allora? Allora va semplicemente preso atto che è aperta davvero, questa volta davvero, e qui ed ora, la questione di quale classe dirigente – con quali orientamenti, con quali capacità, con quali interessi di riferimento – può essere all’altezza dei nuovi compiti. Chi si illude ancora di risolvere questi problemi con le consuete e sperimentate tecniche di potere mi sembra sia fuori strada. Vi sono segnali di grande affanno e, come accade in ogni fase di grande cambiamento, la lotta politica anche a livello locale tende a diventare esasperata, i furbi pensano di diventare ancora più furbi, i nullapensami credono che sia finalmente giunto il loro momento, i vecchi tromboni tornano o vengono spediti in campo con la spada in mano nel tentativo disperato di fermare i processi in corso dicendo all’universo mondo: “Muoia Sansone con tutti i Filistei!”, ecc. ecc. Il disfacimento di vecchi assetti ha sempre i suoi modi, i suoi tempi, le sue regole, i suoi colpi di coda, i suoi carnefici e le sue vittime. Questo indica però che si è sul serio in campo aperto. Ci vorrà ancora un po’ di tempo, non molto però, per capire se si va profilando una possibile soluzione e quale, o se invece saremo sopraffatti dalla rassegnazione e dal suo pendant, qualche conato di rabbia impotente.

Viaggiando nelle piccole cose giunsi ad Allerona

di Giancarlo Pancaldi

Volevo scrivere una favola d’amore, ma poi mi sono chiesto: quanti sono ancora disposti a leggerle o ad ascoltarle? Peccato! Allora, cercherò di descrivere lo “spirito” che mi ha accompagnato nel mio lungo viaggio alla ricerca di piccole cose. Moltissimi anni fa (più o meno sessanta), quando la guerra stava lasciando segni ovunque e la fatica per la sopravvivenza era ormai al limite; di sera, nel tepore umido della stalla, si radunava tutto il vicinato a fare filos. A quei tempi, le narici delle mucche, rappresentavano l’unica fonte di energia gratuita per il riscaldamento. Dopo il Rosario per i defunti, i dispersi, i caduti e per turti coloro che non riuscivano più a stare in piedi da soli, c’era sempre il momemo che la più anziana delle donne, quella dagli occhi liquidi di colore del miele di acacia, si metteva a raccontare: … una sua lontana parente, dalla dote innata per la cucina e che ora però si trovava in difficoltà, data la carenza di materia prima, le aveva svelato il segreto per marinare l’anguilla, oppure come cucinare il risot col puntel. Anche il bisulà. Ma quella ricetta era un segreto che non poteva svelare. E così, per noi ragazzini, abituati a contare i chicchi di riso nella scodella, il pranzo restava incompleto, anche quello immaginario. Poi c’era la storia dell’uomo lupo che durante le notti di luna piena si aggirava per il paese; in molti assicuravano di averlo incontrato al ritorno dall’osteria. Mio zio Zefferino era uno di questi. Ma io, qualche dubbio lo avevo, spesso mi era capitato di semire durante la notte, mia zia Dirce minacciarlo di non aprirgli più la porta e che per non incontrare l’uomo lupo bastava che smettesse di bere tanto. Per ore restavo ad ascoltare affascinato i racconti degli anziani dalle mani grandi e forti come tenaglie, i giovani erano al fronte o sulle montagne con i partigiani. Era bello e confortante vedere come gli adulti riuscivano, malgrado quello che stava accadendo a poca distanza dalla stalla, a tuffarsi nella fantasia e nella memoria fatta molto spesso di piccole cose. Ascoltando quei racconti, cercavo inconsapevolmente la mia identità futura, prestavo fede a quei miti remoti, pur paragonandoli ad impossibili magie. In questo modo ho iniziato a viaggiare nelle piccole cose. Poi, quasi all’improvviso è arrivata la televisione e con lei Lascia o raddoppia, il Musichiere, il festival di Sanremo … e così, piano piano, i miei viaggi di ragazzo incominciavano a diradarsi, anche l’incanto e la percezione del mio istintivo legame con l’infinita bellezza della natura e il mistero dei suoi innumerevoli aspetti si stava affievolendo. Perché, cadere vittima della tecnologia? Perché subire supinamente l’Evoluzione che tende a cancellare la memoria e l’immaginazione? Soltanto Olocausti e Rivoluzioni sono ostinatamente commemorati di tanto in tanto. Per non dimenticare. E il resto? Beato il popolo che non ha bisogno di eroi, recita un verso di Brecht, ma noi non siamo già tutti degli eroi? A pensare che abbiamo da poco scoperto che sopra le nostre teste sarà possibile vivere … c’è spazio, per tutti. Il Peccato Originale non è quello che ostinatamente attribuiamo al gioco di Adamo ed Eva con la mela, il vero Peccato Originale è quello che ad un certo punto l’uomo ha deciso di prendersi sul serio, arrivando persino a giustificare le sue guerre sante. Ai miei tempi si era autorizzati a giocare sino a 18 anni, invece oggi i nostri ragazzi alla stessa età, hanno già l’obbligo di essere adulti e in quamo tali, il gioco non è più permesso: devono essere seri e responsabili, possibilmente pronti anche a costruire torri, meglio se gemelle; così che altri coetanei, magari di colore e di fede diversa, si sentiranno autorizzati ad abbatterle per dimostrare invece che soltamo loro hanno raggiunto la consapevolezza dei veri valori della vita. Quante fatiche povero Ercole ! Mi ricordo di quando un giorno, un’hostess mi presentò la “carta di sbarco”, ero al mio primo viaggio, avevo poco più di vent’anni ed ero diretto negli Stati Uniti: nome, cognome, luogo e data di nascita, professione, razza. Umana!, scrissi io tra le caselle. Così non potei beneficiare del sorriso di benvenuto del poliziotto addetto al controllo passaporti, anche se la sua pelle era molto, ma molto più scura della mia. Più tardi pensai che forse la colpa era da attribuire alla divisa che indossava.
Anche superati i Sessanta, se vogliamo, ci si può svegliare al mattino e guardare con meraviglia le evoluzioni del volo di due tacco le innamorate. Insegniamo ai nostri ragazzi a viaggiare nelle piccole cose e poi lasciamoci prendere per la mano e loro, sicuramente, forniranno una lente nuova alla nostra e alla loro visione, che renderà più facile il viaggio e quello di tami altri viaggiatori, pronti a lasciarsi catturare dalla stessa magia che continua ad imprigionare me. E così, grazie al mio spirito, ho anche potuto scoprire i nuovi amici di Allerona.

L’autore ( il regista che ha coordinato artistitttmente le manifistazioni teatrali dell’estate 2001, inserite nel contesto dell’ormai nota rassegna nazionale Stella d’Oro del teatro amatoriale che si tiene ad Allerona nei mesi estitli. Ha anche governato l’allestimento delle luci del centro storico nel periodo della mssegna creando atmosjfre particolari e suggestive.

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